Posts written by veu

  1. .
    Beh è ovvio che Sissi non vestisse in quel modo, ma diciamo che è una rielaborazione. Sissi alla fin fine è un emblema per il pubblico e che venga ricordata (anche se in maniera moooolto rielaborata) fa piacere.
    Credo che Michelle non abbia inteso infangare la memoria di Sissi, semplicemente ha indossato un abito molto particolare, da gran serata (o gran ballo) e l'ha paragonato a quelli di Sissi , come omaggio. Tutto qui.
  2. .
    Grazie Marianna e Soraya per il link!
  3. .
    Nell'episodio Sissi era interpretata dall'attrice Mary Petruolo.

    Si trova da qualche parte l'episodio? vorrei troppo vederlo
  4. .
    Credo che possa definire filosofia il fatto che questo libro indica un modo di vedere le cose, vederle attraverso gli occhi dei ragazzi, continuare a sperare. il mondo in declino di Fantasia può essere visto come il mondo che va verso una direzione negativa e i sogni, l'evasione sono ciò che ci permette di poter continuare a sperare, a tessere con occhi positivi le varie tele della nostra esistenza. ecco, non fermarci a disperare, ma andare avanti e affrontare anche difficoltà ma restando sempre sostanzialmente positivi.
  5. .
    Marianna, il film è una cosa, il libro un'altra. Ti consiglio di leggere il libro, è decisamente molto più forte del film.
    Penserai che magari è un libro fantasy e se non ti piace il genere penserai che sarà un mattonazzo... ti consiglio di dargli una chance perché davvero non è solo un libro fantasy, è molto di più. Se proprio vogliamo trovargli un genere non lo classificherei proprio nei fantasy quanto piuttosto nell'ambito filosofico. Ende aveva la capacità di leggere l'anima della gente, portare all'attenzione dei lettori qualcosa che colpisce a fondo, quindi senza soffermarsi solo sull'aspetto fantastico/fiabesco del racconto che a prima vista può essere la favola per ragazzi, ma andando oltre la superficie e portando all'attenzione tanti valori/ideali/elementi che fanno pensare e vedere il mondo in altro modo.
    Dai una possibilità alla Storia Infinita. è molto bello! ne vale la pena. Stra-consigliato.
  6. .
    LA STORIA INFINITA

    La storia infinita (titolo originale tedesco Die unendliche Geschichte) è un romanzo fantastico dello scrittore tedesco Michael Ende, pubblicato nel 1979 a Stoccarda dalla Thienemann Verlag. Tradotto in più di quaranta lingue, il romanzo ha venduto oltre 10 milioni di copie nel mondo ed è diventato un classico della letteratura per ragazzi. La prima edizione in italiano risale al 1981, a cura della Longanesi.

    La maggior parte della storia si svolge a Fantàsia, un mondo fantastico minacciato dall'espansione di una forza misteriosa chiamata Nulla, che causa la sparizione di regioni sempre più estese del regno. Il coprotagonista è Atreiu, un giovane guerriero che viene incaricato dall'Infanta Imperatrice di trovare una soluzione al problema di Fantàsia; il protagonista è invece un bambino del mondo reale, Bastiano Baldassarre Bucci, che, leggendo un libro sul Regno di Fantàsia, si ritrova progressivamente coinvolto negli eventi del racconto. Diventato anche lui parte di Fantàsia, Bastiano aiuta Atreiu nel tentativo di salvare il regno e dovrà infine trovare un modo per ritornare nel mondo reale.

    L'opera è stata adattata in una varietà di media diversi, che vanno dal teatro ai videogiochi, dal cinema alla televisione. Proprio dal romanzo di Ende, Wolfgang Petersen ha tratto nel 1984 il celebre lungometraggio La storia infinita.


    Trama

    Bastiano Baldassarre Bucci è un bambino di dieci o undici anni che, dopo la morte della madre, non riesce più a comunicare con il padre e si è chiuso in se stesso, rifugiandosi nella lettura e nelle storie fantastiche. A scuola è un tipo solitario che viene preso in giro e maltrattato dai suoi compagni di classe. Un giorno, fuggendo dall'ennesima persecuzione, trova riparo nella libreria antiquaria del signor Carlo Corrado Coriandoli. L'uomo stava leggendo un libro misterioso intitolato La storia infinita. Bastiano è immediatamente attirato dal tomo, poiché aveva sempre desiderato leggere una storia senza fine, così, quando squilla il telefono del negozio e il signor Coriandoli lascia la sala, ruba il libro e fugge fino alla soffitta della sua scuola. Qui inizia a leggere La storia infinita.

    Il libro tratta del Regno di Fantàsia, la cui sovrana, l'Infanta Imperatrice, è afflitta da un male sconosciuto e corre il rischio di morire. Col peggiorare del suo male anche Fantàsia sembra condannata alla rovina. Un'entità informe chiamata Nulla ha cominciato infatti ad espandersi nel regno, inghiottendo intere regioni e facendole sparire del tutto. L'Infanta Imperatrice incarica quindi il giovane e coraggioso Atreiu di cercare una soluzione al suo male e a quello del regno e gli affida il talismano fatato Auryn per proteggerlo da ogni male. Durante il suo viaggio in compagnia del Drago della Fortuna Fùcur, Atreiu attraversa Fantàsia e parla con i suoi molteplici abitanti, tra cui Ygramul, Uyulala e Mork. Scopre quindi di non essere in grado di aiutare il regno, ma che l'unica possibilità di salvezza risiede nel condurre a Fantàsia un umano che dia all'Infanta Imperatrice un nuovo nome.

    Mentre Bastiano segue con trepidazione le avventure di Atreiu, si lascia trascinare sempre più all'interno del racconto, fino a rendersi conto di poter influenzare attivamente il proseguimento della storia. Tenta così di chiamare Atreiu e si sorprende nel constatare che il personaggio lo senta e faccia quanto intimatogli. Sebbene Bastiano si renda conto che è proprio lui l'unico possibile salvatore di Fantàsia, teme che l'Infanta Imperatrice possa ritenerlo non all'altezza e non si decide a pronunciarne il nuovo nome, che ha custodito per molto tempo. La regnante decide allora di recarsi dal Vecchio della Montagna Vagante, che possiede un libro intitolato La storia infinita e di farsi leggere ad alta voce il racconto. Bastiano è sorpreso di leggere che la storia ricomincia ogni volta che raggiunge il punto in cui l'Infanta Imperatrice raggiunge il Vecchio e che, nelle ripetizioni, include anche il suo incontro con Coriandoli, il furto del libro e le sue azioni nella soffitta della scuola. Capendo che la storia si sarebbe ripetuta ciclicamente all'infinito senza il suo intervento, Bastiano pronuncia finalmente il nome che ha scelto per l'Imperatrice: "Fiordiluna".

    Bastiano viene trasportato a Fantàsia dove l'Infanta Imperatrice lo incarica di ricreare il regno a partire dai suoi desideri e gli dona il talismano Auryn. Con l'amuleto ad esaudire le sue ambizioni, il giovane decide di lasciarsi alle spalle tutte le debolezze che avevano caratterizzato la sua vita nel mondo reale; si reinventa dunque come un tipo forte, coraggioso e saggio e inizia a viaggiare per Fantàsia vivendo avventure e inventando storie, conoscendo finalmente anche Fucur e Atreiu, quest'ultimo inizialmente sbalordito dal trovarsi davanti un ragazzo completamente diverso da quello che aveva visto in un riflesso, durante la sua missione. Piano piano però Bastiano si rende conto che tutti i racconti che inizia proseguono indipendentemente dalla sua volontà e che non tutti portano a conseguenze positive, inoltre il potere assoluto dell'Auryn ha un prezzo: ogni volta che esprime un desiderio, perde un ricordo della sua vita. Bastiano decide di reincontrare l'Infanta imperatrice per parlarle, cosa però che è proibita al salvatore di Fantasia. Tutti i tentativi per raggiungere l'Imperatrice falliscono. Decide quindi di nominarsi nuovo imperatore di Fantasia e questo lo porta a scontrarsi con Atreiu. Bastiano si ritrova quindi nella Città degli Imperatori, un luogo pieno di persone impazzite, tutti ex salvatori di Fantasia che si erano lasciati sopraffare dai desideri e dall'ambizione, dimenticandosi completamente del loro mondo. Bastiano riesce comunque a fuggire per andare in cerca della miniera di Minroud dove Yor, il minatore, può aiutarlo a recuperare i ricordi. Alla miniera Bastiano aiuta Yor nel suo lavoro che consiste nell'estrarre immagini dalla roccia in cui sono intrappolate, e prima o poi lui troverà delle immagini che gli sembreranno familiari. Bastiano trova tre immagini, ma non sa cosa deve farne e, preso dalla disperazione, depone l'auryn e invoca i suoi amici.

    Avendo deposto l'auryn di sua volontà, Bastiano viene trasportano all'interno dell'Auryn, dove i due serpenti, ora giganteschi, custodiscono la fontana delle Acque della Vita. Qui Bastiano trova anche Fucur e Atreiu (in quanto tutti e tre hanno portato l'Auryn), a cui chiede perdono sinceramente. I serpenti chiedono a Bastiano il suo nome, ma egli non lo ricorda. Interviene allora Atreiu che garantisce per lui, pronunciandone il nome. I serpenti non sono contenti che Bastiano abbia lasciato dietro di sé tantissimi racconti incompiuti e non sono sicuri di potergli fare raccogliere l'Acqua della Vita, indispensabile per tornare nel suo mondo. Atreiu promette allora di farlo al suo posto, aiutato da Fucur. Bastiano torna al suo aspetto originale e saluta per sempre i due amici, per poi accedere alla Fontana. Qui bevendo l'acqua e facendoci il bagno, riacquista i suoi ricordi e può finalmente tornare a casa. Cerca di portare un po' d'acqua con sé per darla al padre, sempre triste e distante da quando la moglie è morta, ma quando si ritrova nella soffitta della scuola si accorge di averla rovesciata e che il libro della Storia Infinita è sparito. Tornato a casa scopre il padre disperato perché era sparito dal giorno prima.

    Bastiano racconta le sue avventure al padre e per la prima volta da tanto tempo, ricorda che il padre gli vuole davvero bene.Bastiano va anche dal signor Coriandoli per prendersi la responsabilità del furto del libro e di averlo smarrito. Ma l'uomo gli confida di aver già viaggiato a Fantasia molte volte per salvare l'Imperatrice (gli confida anche il segreto per rivedere l'Imperatrice, nonostante il divieto) e che non deve preoccuparsi perché il libro non era davvero suo, inoltre è molto interessato alle avventure di Bastiano a Fantasia e che un giorno magari gli racconterà le sue.



    Genesi dell'opera


    Nel 1977 Michael Ende venne incoraggiato dal suo editore Hansjörg Weitbrecht a comporre un nuovo romanzo da consegnare entro la fine di quell'anno. Ende rispolverò allora un'idea appena abbozzata di «un bambino che, leggendo una storia, si ritrova letteralmente all'interno della storia stessa e riesce ad uscirne solo con grandi difficoltà»; il tema venne subito approvato da Weitbrecht. Dubitando inizialmente di riuscire a scrivere più di 100 pagine, Ende si rese conto che più vi lavorava e più la trattazione acquistava spessore e grandezza, tanto che la data di uscita dovette essere posticipata. Poco prima della consegna, Ende contattò il suo editore per comunicargli che il protagonista Bastiano si rifiutava categoricamente di lasciare Fantàsia e che non gli rimaneva dunque altra possibilità che seguire il suo personaggio nel prosieguo delle sue avventure.

    « Ne La storia infinita era così che non avevo idea di dove fosse l'uscita di Fantàsia. Il libro sarebbe dovuto uscire già un anno prima. L'editore aveva organizzato le stampe, la carta era già pronta e mi chiamava continuamente per chiedermi; "Quando me lo consegnerai finalmente?", e io dovevo sempre rispondere: "Non posso darti niente, Bastiano non torna più indietro. Cosa devo fare? Devo aspettare il momento giusto, quando emergerà dal personaggio stesso la necessità di ritornare", e per questo diventò quest'odissea. » (Michael Ende)

    Inoltre, secondo Ende, la storia aveva preso una piega tale da non essere più adatta ad una pubblicazione tradizionale, ma gli appariva chiaro che si sarebbe dovuta confezionare come un vero e proprio libro di magia: con copertina in cuoio e bottoni in madreperla e ottone. Dopo lunghe discussioni con l'editore, che non vedeva di buon occhio il conseguente aumento dei costi di produzione, ci si accordò per una rilegatura in seta, la celebre stampa a due colori e i 26 capilettera per i singoli capitoli, che sarebbero stati illustrati da Roswitha Quadflieg. L'ultimo nodo narrativo da sciogliere rimaneva come far tornare Bastiano dal Regno di Fantàsia alla realtà. Esso tenne impegnato a lungo Ende fino a quando gli venne in mente l'idea risolutiva: che l'Auryn, l'amuleto dell'Infanta Imperatrice, fosse esso stesso l'uscita dal Regno di Fantàsia. Così nel 1979, dopo circa tre anni di lavoro, l'autore poté finalmente concludere il suo romanzo.

    Riassumendo la travagliata genesi e stesura del racconto, Ende ha commentato:

    « Ci si domanda: "Che tipo di storia è questa che costringe il lettore a entrarvi dentro; perché la storia ha bisogno di lui?" Ecco, così prese forma dopo molti errori e tentativi questa Fantàsia. Poi ci si interroga per secondo: "Che tipo di ragazzo deve essere?" Una cosa così non succede a tutti. "Che presupposti deve avere per farsi coinvolgere in primo luogo in questa avventura?" All'inizio avevo un Bastiano totalmente diverso. Avevo un ragazzo asociale e ostinato, che si chiudeva al mondo. Poi mi resi conto, mentre ero già a metà del libro, che sicuramente non sarebbe tornato indietro. Così la storia non giungeva a conclusione. Quindi ancora indietro e ricominciare da capo. Quello che è contenuto oggi nel libro è circa un quinto di quello che ho scritto realmente, Quattro quinti sono finiti nel cestino. » (Michael Ende)


    Pubblicazione


    La prima edizione de La storia infinita fu stampata il 1º settembre 1979 dall'editore Thienemann Verlag, con la legatura con copertina rigida in seta e il già citato doppio colore d'inchiostro: rosso per il testo ambientato nel mondo degli umani e verde acqua le parti trattanti Fantàsia. I 26 capitoli che compongono la storia vennero decorati con altrettanti capilettera in rigoroso ordine alfabetico dalla "A" alla "Z", realizzati da Roswitha Quadflieg. Nel 1987 uscì l'edizione tascabile a cura del Deutscher Taschenbuch Verlag, mentre nel 1998 seguì l'edizione Weitbrecht, contenente il capitolo inedito Der Niemandsgarten (lett. "Il giardino di nessuno"), che costituisce una sorta di antefatto alla storia, estratto dal testamento di Ende. Nel 2004 venne pubblicata da Thienemann Verlag una nuova versione con le illustrazioni di Claudia Seeger, priva dei capilettera e dell'inchiostro colorato.
    La prima edizione del libro venne stampata in appena 20 000 copie, ma il successo fu immediato ed entro fine anno le vendite raggiunsero i 200 000 esemplari. Nel 1980 il romanzo apparve per la prima volta nella lista dei best seller stilata dalla rivista Der Spiegel e vi rimase per un totale di 332 settimane, di cui 113 al primo posto. Nei tre anni seguenti oltrepassò la soglia del milione di esemplari venduti in 15 ristampe successive. La storia infinita si sviluppò ben presto in un romanzo di culto e, al 2009, è stato tradotto in oltre 40 lingue e ha venduto più di 10 milioni di copie in tutto il mondo, di cui tre milioni solamente in Germania. Accolto fin da subito in modo positivo dalla critica, nel 1979 vinse il premio per la letteratura per ragazzi Buxtehuder Bulle, il Preis der Leseratten della ZDF nel 1980 e diversi altri riconoscimenti internazionali.


    Edizioni italiane


    La prima edizione in italiano fu curata da Longanesi nel 1981 nella collana La gaja scienza. La traduzione venne affidata ad Amina Pandolfi, mentre i capilettera furono frutto dell'opera di Antonio Basoli. L'edizione presentava una copertina rigida ricoperta di seta rossa e il testo bicolore. Nel 1988 TEA pubblicò un'edizione dell'opera, mantenendo la traduzione e i capilettera della versione Longanesi. Il testo venne stampato in inchiostro monocromatico nero ricorrendo al corsivo per le parti ambientate nel mondo degli uomini e al carattere tondo per quelle ambientate nel Regno di Fantàsia. La casa editrice Corbaccio pubblicò la sua prima versione de La storia infinita nel 2002, all'interno della collana Scrittori di tutto il mondo. Il testo e la grafica riprendono quella delle edizioni precedenti, reintroducendo i colori d'inchiostro rosso e verde acqua. Il Corriere della Sera riporta che nel 1996 erano stati venduti circa 350 000 esemplari in Italia.


    Genere e struttura

    La storia infinita è un romanzo che per la sua complessità sfugge la classificazione in un genere specifico. Critici e ricercatori si riferiscono però spesso al racconto come Märchenroman, identificabile con il fantasy fiabesco, scelta supportata tra l'altro dallo stesso Ende, che per primo aveva espresso l'idea di estendere la dizione Märchenroman ad un genere di romanzi già ampiamente diffuso. In riferimento all'opera sono state adottate una varietà di denominazioni tutte in qualche modo afferenti alle fiabe classiche: "fiaba morale", "fiaba per adulti", "fiaba fantastica", "fiaba di formazione" o "fiaba moderna". In effetti le fiabe occupano un ruolo centrale nella poetica di Ende, che non le considera semplicisticamente letteratura per ragazzi, quanto opere complesse, pensate per grandi e bambini, che avevano un tempo un significato profondo nella cultura occidentale. Tuttavia le chiavi di lettura che attribuiscono all'opera esclusivamente tratti fiabeschi non riflettono completamente la realtà. La storia infinita, infatti, si discosta nello stile e nella struttura dai canoni della fiaba, e spesso questi non vengono imitati se non superficialmente. La trattazione ricorda piuttosto un romanzo di formazione, in cui elementi fantastici e romantici svolgono il ruolo di contenitori e catalizzatori della storia. L'opera è così un romanzo di formazione al tempo stesso fiabesco, fantastico e romantico.

    La storia infinita è un metaromanzo, vale a dire un "libro nel libro" o un "libro che parla di altri libri". All'interno della cornice narrativa della realtà si svolgono gli eventi del Regno di Fantàsia, in modo che i due racconti si intreccino a vicenda. Nella finzione letteraria, infatti, La storia infinita è il titolo di ben tre volumi: quello scritto dall'autore Michael Ende; quello rubato da Bastiano nel negozio di antiquariato del signor Coriandoli, rilegato in pelle e con l'Auryn in copertina, in cui si raccontano solo le vicende del Regno di Fantàsia; e quello contenuto nella Montagna Vagante e poi riscritto dal Vecchio, speculare a quello di Ende. Grazie a questa struttura, Ende riesce a infrangere la barriera che divide lettore e personaggio, poiché Bastiano passa da un ruolo all'altro nel corso della storia. In questo modo, anche il confine tra realtà e finzione risulta meno netto e, in alcuni passaggi — fra tutti, l'urlo udito da Atreiu e da Ygramul —, quasi indistinto. Il racconto è permeato da simboli ed elementi che rimandano ad una visione ciclica del tempo, come l'uroboro che si morde la coda, raffigurato nell'emblema Auryn. Così l'ultimo capitolo "Z" lascia intendere un ritorno alla "A", dal momento che una "storia infinita" non può avere un capitolo finale. Questa struttura ha origine, nella finzione letteraria, nel racconto del Vecchio della Montagna Vagante, che inizia scrivere La storia infinita e poi su invito dell'Infanta Imperatrice ricomincia da capo, nel punto in cui Bastiano irrompe nella libreria antiquaria di Carlo Corrado Coriandoli. In questo modo, quando la storia raggiunge il punto in cui l'imperatrice chiede al vecchio di reiniziare il suo racconto, questa ritorna nuovamente al punto di partenza. Tutti i personaggi si ritrovano così imprigionati in un ciclo senza fine, fino a quando Bastiano non accetta di occupare il suo posto nella storia, di immergervisi e di concluderla.

    Per rendere più facile capire in quale piano narrativo si sta svolgendo la storia, l'autore ha dato al suo romanzo un'estetica particolare: il libro è scritto in due colori, che distinguono le parti ambientate nel mondo degli uomini, in rosso, da quelle ambientate nel Regno di Fantàsia, in verde acqua.

    « Questa cosa con i due colori e questi continui incroci sono una sorta di regola che viene proposta al lettore. Viene invitato a giocare. Negli ultimi anni abbiamo dimenticato che arte e letteratura sono, tra l'altro, anche gioco. Gioco nel senso più alto del termine. [...] Ma è proprio per questo, perché nella letteratura per ragazzi è possibile giocare, che ho iniziato a cimentarmi nel genere. Ora ho varcato il limite. Questo carattere giocoso voglio mantenerlo a tutti i costi. » (Michael Ende)


    Capitoli

    Il volume è suddiviso in 26 capitoli, che iniziano con altrettante lettere dell'alfabeto tedesco, in ordine alfabetico dalla "A" alla "Z". Essi, oltre ad essere numerati in cifre romane ed avere un titolo, sono anche contrassegnati da un capolettera che ricorda le miniature medievali. In una lettera ad una sua lettrice, Ende rivelò che le illustrazioni di Roswitha Quadflieg erano molto diverse dall'immagine che aveva in testa, ma che il risultato finale gli appariva comunque gradevole. In un'altra lettera, invece, l'editore Hansjörg Weitbrecht ringraziò l'artista per il suo lavoro, che, secondo lui, contribuì grandemente al successo del libro. Ende attribuiva un grande significato alla scelta delle lettere, come nel nome Xayíde, che doveva essere scritto necessariamente con una "y". In questo si rifaceva alla Cabala, che considerava le lettere più di semplici suoni, ma significati che rivelano il mondo interiore dell'uomo.


    Temi e interpretazioni

    Temi narrativi, spesso introdotti in chiave simbolica o allegorica, permeano l'intero romanzo, che può quindi essere letto a più livelli così come avviene ad altre opere fantastiche basate su un viaggio in un mondo incantato.

    La fantasia

    La fantasia è uno dei temi fondanti de La storia infinita, da cui deriva il nome stesso di Fantàsia, il mondo immaginario dove è ambientata in parte la vicenda. Non si tratta solo di una capacità tipica dell'uomo di immaginare ciò che non è o ciò che potrebbe essere; per Ende la fantasia è un'attività vera e propria della mente. Grazie ad essa, il genere umano è in grado di creare, modificare, plasmare la realtà, costruendole un passato ed un futuro. E questo potere creativo, dovuto all'attività immaginativa, è molto simile alla creazione divina, rientrando nelle qualità concesse da Dio all'uomo che lo rendono simile ad esso. La differenza, sostanziale, è che alla fantasia di Ende tutto è concesso, nel bene e nel male. Né Bastiano né l'Infanta Imperatrice fanno distinzioni tra le loro creature; lasciano anzi che vivano ciascuna la loro vita senza interferenze.

    La storia infinita non è un libro analitico o didattico, ma contiene comunque un messaggio chiaro. In esso Ende critica il materialismo ed esalta la fantasia. Nel dopoguerra l'uomo si è sforzato di «vedere tutto in un'ottica socialmente e politicamente critica» portandolo ancora di più verso «un'aspirazione di negatività, ira, amarezza e oscurità». In quest'ottica Ende concepisce il ruolo dello scrittore, della letteratura e dell'arte in generale come il tentativo di «restituire al mondo il suo segreto sacro e all'uomo la sua dignità», per «ridare alla vita magia e mistero». segreti del mondo sono però accessibili solo «a colui che è pronto a lasciarsi trasformare da essi». Se l'uomo non è divenuto un vero adulto, «un essere disincantato, banale e inquadrato» allora continua a vivere in lui il bambino. Ende dedica la sua opera all'eterno bambino in ognuno e per questo i suoi lavori non sono da intendersi come letteratura per ragazzi. La scelta di adottare uno stile e un registro vicino al fantasy fantastico deriva solamente da motivi artistico-poetici: «Se si desidera raccontare eventi fantastici bisogna descrivere il mondo in modo che tali eventi siano possibili e verosimili».

    La fantasia del mondo reale e quella di Fantàsia seguono leggi diverse; «laggiù le cose sono differenti» canta Uyulala ad Atreiu. Nel regno dell'Infanta Imperatrice, infatti, l'uso dell'immaginazione da parte di Bastiano si limita a dare un impulso, dopodiché ogni creatura si evolve in completa autonomia, decidendo con le sue stesse azioni la sua strada. L'intervento della fantasia d'un autore-creatore non è più necessario, poiché la vita, a Fantàsia, è in grado di svilupparsi seguendo l'istinto e la propria natura. Così accade, ad esempio, agli Uzzolini: «Noi possiamo fare tutto quello che ci pare. Noi siamo gli Uzzolini. E quando ci viene l'uzzolo facciamo quello che vogliamo, tutto quello che non ci è proibito». Quando Bastiano tenta di fermare gli Uzzolini, dicendo di essere il loro "benefattore" a cui devono obbedienza, le creature non lo riconoscono né come persona né come padrone, e si rifiutano di ascoltare i suoi ordini. Questo può essere letto inoltre come una metafora dell'atto creativo e onnipotente di uno scrittore: una volta che si è iniziata una storia, il resto viene da sé, quasi prendesse vita propria indipendentemente dalla volontà di chi scrive. È la magia della creazione o "creatività magica" a permettere la nascita di nuove creature, nuovi mondi e della stessa Fantasia.

    Il nome o La creazione

    Ogni cosa a Fantàsia inizia ad avere una propria storia dal momento in cui le viene dato un nome o un nuovo nome. Prima di allora semplicemente esiste, ma non ha uno scopo, un ruolo, una funzione perché è priva d'identità. Questo tipo di creazione è tipico delle culture orali e si trova presso quasi tutti i popoli, con tracce evidenti in poemi epici e testi sacri quali la Bibbia, l'Enûma Eliš, l'Iliade, l'Odissea, il Libro delle Caverne, le leggende di Conchobar mac Nessa e Cú Chulainn, o il Ciclo feniano. La facoltà creatrice della parola non è dunque un'invenzione di Ende, ma la ripresa di un'idea antica, archetipica e sacra. Controprova dell'equivalenza tra nome e creazione è il fatto che il Nulla, la forza distruttrice del mondo di Fantàsia, non ne abbia davvero uno. Un Fuoco Fatuo, nel primo capitolo, afferma che "il nulla non si presenta affatto... non c'è una parola per questo", ovvero che il Nulla — nel senso di non essere — è privo di nome e quindi il "non nome" equivale a "distruzione" Lo stesso avviene per la Città degli Imperatori, che in realtà, come afferma Argax, «non ha alcun nome». La città ospita «coloro che hanno sprecato il loro ultimo desiderio», ormai privi di un passato e di un futuro, destinati a restare "così come sono" senza scopo


    I desideri

    I desideri, ne La storia infinita non sono mai vaghi: per andarsene da un posto, per esempio, non basta desiderare di essere altrove ma è necessario desiderare un altro posto, immaginarlo, figurarselo nella mente. Tale concetto viene spiegato a Bastiano da Graogramàn: «Le strade di Fantàsia le puoi trovare solo grazie ai tuoi desideri. E ogni volta puoi procedere soltanto da un desiderio al successivo. Quello che non desideri ti rimane inaccessibile. Questo è ciò che qui significano le parole 'vicino' e 'lontano'. E non basta volere soltanto andar via da un luogo. Devi desiderarne un altro. Devi lasciarti guidare dai tuoi desideri». I desideri, dunque, sono le singole essenziali tappe di un percorso che conduce a uno "scopo fondamentale", la propria identità, ciò che si è se si vuole veramente; in questo senso va interpretata la frase "Fa' ciò che vuoi" incisa sull'Auryn. Tale percorso, che ritroviamo lungo tutto il libro, è rappresentato in modo fisico — oltre che simbolico — dal Tempio delle Mille Porte, per gli esseri umani, e dalla Grande Ricerca, per i personaggi di Fantàsia.

    Il fatto che per desiderare qualcosa sia necessario conoscere sé stessi, trovare la propria vera volontà e identità, ha delle conseguenze: senza ricordi, qualunque desiderio è impossibile e la mente si svuota completamente. L'effetto, però è diverso a seconda che la perdita dei ricordi riguardi l'essere umano Bastiano o il personaggio Atreiu: il secondo, infatti, trova le sue risposte proprio perdendo sé stesso — al contrario del primo — e diventando come "un bambino appena nato". Pur obbedendo a leggi diverse, tuttavia, il Regno di Fantàsia e il mondo degli uomini sono legati l'uno all'altro né possono esistere l'uno senza l'altro.

    I ricordi

    Bastiano, a furia di esprimere desideri per tornare nel proprio mondo, cambia sé stesso rinunciando ai ricordi e dimenticando, quindi, ciò che era prima. Si crea così un circolo vizioso per cui la volontà del bambino, nel tentativo di ritrovare sé stessa, in realtà si perde e deve quindi recuperare, come in sogno, una "prima infanzia soppressa". Non è un caso che, ne La storia infinita, i ricordi e la fantasia — ovvero la capacità di creare esprimendo desideri — siano strettamente collegati: gli uni non sono possibili senza l'altra, e viceversa. Questo perché, in ultima analisi, «chi non ha più un passato non ha neppure un avvenire». Un concetto che la scimmia Argax spiega in modo molto chiaro a Bastiano: «per loro [quelli che dimenticano] nulla può cambiare, perché loro stessi non possono più cambiarsi». La fantasia è quindi, per Michael Ende, un'attività creatrice in perenne movimento il cui meccanismo si rompe, però, nel momento in cui i ricordi, il passato, ciò che è stato, non sorreggono più i desideri, il futuro, ciò che sarà e potrebbe essere.

    L'alfabeto

    Punto di partenza per le riflessioni di Ende sulla scrittura sono le lettere dell'alfabeto. Il riferimento è già evidente nell'uso dei capilettera all'inizio di ogni capitolo. Le lettere costituiscono dunque un principio e una fine, dalla A alla Z, entro i quali si dipana ogni storia. Se questo è forse l'accorgimento più evidente fra quelli escogitati dall'autore, non è tuttavia l'unico; Ende, soprattutto all'inizio e nella seconda parte de La storia infinita, dissemina infatti il suo racconto di spunti sulla narrazione come "scrittura", ovvero come "sequenza di vocali e consonanti" e "tipografia"; come la scritta che compare sulla porta a vetri del negozio del signor Coriandoli, stampata al contrario così come la si vedrebbe dall'interno; la scala del Vecchio della Montagna Vagante, costruita da lettere che formano frasi, ammonimenti, inviti; le iniziali lasciate su una duna del Deserto Colorato da Bastiano, come testimonianza del suo passaggio per chiunque leggerà il passo de La storia infinita in cui lui compie quell'azione; o il gioco del Caso nella Città degli Imperatori, che consiste nel lanciare un gran numero di dadi sulle cui facce sono disegnate le lettere dell'alfabeto, scopo del gioco è ottenere, casualmente, parole buffe o di senso compiuto, o addirittura intere storie. Le lettere scritte, dunque, rappresentano uno dei punti di partenza per costruire un racconto.

    Tra finito e infinito


    Poiché il Regno di Fantasìa non ha confini né nello spazio né nel tempo, la sua storia non ha mai fine. Tuttavia, le singole storie dei suoi personaggi, dei suoi luoghi, dei suoi oggetti, devono essere concluse perché l'ordine di Fantàsia non sia scardinato. Per questo, alla fine del libro, le Acque della Vita chiedono a Bastiano se ha portato a termine tutte le proprie storie prima di farlo passare.

    A Fantàsia, se una vicenda ha avuto inizio deve avere anche uno svolgimento e una fine. Non si tratta comunque della fine che deve per forza esserci in un libro, ma del ciclo regolare della vita fantastica e reale. Si crea così un circolo senza fine, dove una storia ne racchiude un'altra e un'altra ancora, e dove gli ascoltatori della prima non sono che i protagonisti di una seconda. Ma La storia infinita è anche una "rete di relazioni intertestuali", un ipertesto ante litteram che si estende, si ramifica in ogni direzione senza limiti. Chiunque può continuarla, immaginare una storia precedente o successiva di qualunque personaggio, anche mediante corollari o spin-off; ne sono testimonianza i sei romanzi commissionati dalla Droemer Knaur fra il 2003 e il 2004 per la serie Die Legenden von Phantasien (lett. "Le leggende di Fantàsia"). I libri non scritti sono spesso accennati da Ende con una formula fissa: «Ma questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta». Essa è lo spunto per l'invenzione di storie secondarie, lasciate in sospeso da Ende per scatenare la fantasia dei lettori e far rivivere ogni volta le creature di Fantàsia. In un certo senso è un antidoto al Nulla che minaccia gli uomini di là dalla finzione letteraria.

    Interpretazione di Ende

    Alla richiesta di dare un'interpretazione a La storia infinita Ende non ha risposto, affermando che la sua opera non esiste per veicolare un messaggio, ma che ogni commento a proposito sia giusto. L'unico indizio rivelato dall'autore è:

    « È infatti la storia di un giovane che in questa notte di crisi, una crisi esistenziale, perde il suo mondo interiore, quindi il suo mondo mitico [...], e deve saltare dentro questo Nulla, allo stesso modo in cui dobbiamo farlo anche noi europei. Siamo riusciti a perdere tutti i valori e ora dobbiamo saltare dentro, e solo se abbiamo il coraggio di saltarci dentro, in questo nulla, possiamo risvegliare le forze creative più personali e interne e costruire una nuova Fantàsia, cioè un nuovo mondo di valori. » (Michael Ende)


    Critica

    La critica tedesca del tempo della guerra fredda accolse le idee esposte da Ende nel suo romanzo con riluttanza e scetticismo. All'epoca la letteratura doveva essere soprattutto realistica e politicamente impegnata, per cui non c'era spazio per viaggi nel Regno di Fantàsia. I rappresentanti socialmente attivi della generazione sessantottina criticarono dunque Ende tacciandolo di escapismo, di mancanza di realismo e di tratti eccessivamente naif. Lo studioso Hermann Bausinger utilizzò in relazione all'opera di Ende l'espressione "effetto placebo", nella misura in cui i giovani lettori spaventati dal futuro e in cerca di una fuga dalla realtà trovavano nel romanzo una risposta al loro bisogno di positività e ricevevano risposte e soluzioni che non erano contenute nel testo stesso.

    Tuttavia il messaggio contenuto ne La storia infinita era diametralmente opposto: non una fuga nel mondo della fantasia in cui vivere felici, ma un invito a considerare la fantasia un mezzo per affrontare i problemi del mondo reale. Ende si stancò di doversi ripetutamente giustificare agli occhi della critica per la sua scelta di trattare il fantastico e definì "soffocante" il lungo dibattito sull'escapismo. A colpirlo maggiormente fu però il fatto che non gli si volevano riconoscere i suoi meriti artistici e creativi, degradandolo a mero "cantastorie della nazione". Ende decise così di ignorare le critiche e di godersi il successo presso i suoi lettori:

    « Da quando ho iniziato a scrivere storie fantastiche, quindi dalla pubblicazione dei libri di Jim Bottone, c'era sempre qualche maestro pronto a criticare la mia "mancanza di realismo". Ci furono addirittura libri, come Schlachtet die blauen Elefanten o Das Böse kommt aus Kinderbüchern in cui mi si prendeva a rappresentante di tutto ciò che era da evitare. Credete che oggi sia diverso? Recentemente è uscito nella rivista Konkret un articolo di Erich Kuby in cui mi associa al fascismo e afferma di vedere in me un nuovo Rosenberg. Se mi lasciassi coinvolgere in tutte queste discussioni non riuscirei più ad essere felice nella mia vita e non avrei neanche più tempo di lavorare. » (Michael Ende in una lettera ad una sua lettrice del 25 luglio 1982 tratta dal testamento dell'autore)


    Per cui al ridosso della sua uscita, La storia infinita fu liquidato come letteratura per ragazzi e i pochi adulti che pure lo leggevano, lo facevano in modo sommesso e quasi vergognandosene. Lo stesso Ende commentò che se il suo romanzo «fosse apparso dieci anni prima, nessuno si sarebbe interessato ad esso». Invece negli anni ottanta la mutata sensibilità portò una nuova generazione di lettori all'improvviso interesse per il libro e per i suoi temi romantici e favolistici, tanto che già nel 1980 Der Spiegel lo definì un probabile libro di culto e qualche anno più tardi sarebbe diventato il più grande successo della storia recente della letteratura tedesca, venendo tradotto in oltre 40 lingue e vendendo più di 10 milioni di copie in tutto il mondo.

    Der Spiegel associò il viaggio nel Regno di Fantàsia de La storia infinita, inteso come fuga dalle illusioni e dalle menzogne del mondo reale, alle opere fantasy di J. R. R. Tolkien, precisando però che il primo assume una valenza più pedagogica. Invece che rifugiarsi in un facile escapismo, infatti, Ende suggerisce ai suoi lettori di «accettare la fantasia e la poesia, ma di rapportare i propri desideri e sogni alla loro vita di tutti i giorni», come testimoniato dai continui richiami di Atreiu e Fuchur a Bastiano affinché ritorni al suo mondo per portare equilibrio tra i due regni. Pur notando a tratti un'eccessiva semplicità, la redazione della rivista giudicò la narrazione "fluida e facilmente fruibile", arricchita da un'"atmosfera romantica" e una "fantasia strabordante". Die Zeit lo giudicò invece un romanzo filosofico carico di significati e di difficile interpretazione, reso piacevole dalla trama avvincente, dalla ricchezza di immagini e dalla riuscita rappresentazione di un mondo immaginario accuratamente pensato. Il Corriere della Sera ha sottolineato la presenza di numerosi riferimenti culturali e citazioni che ne rendono la lettura più adatta ad un pubblico maturo piuttosto che ad uno giovanile che si fermerebbe ad una lettura superficiale dell'opera.


    Trasposizioni


    Cinema e televisione

    Appena un anno dopo la pubblicazione del libro, il produttore Bernd Eichinger ottenne da Ende i diritti per trarne un film. Tuttavia mano a mano che la sceneggiatura del regista Wolfgang Petersen si distanziava dal materiale originale, lo scrittore si convinse che permettere l'adattamento filmico non era stata una buona idea, riservandosi il diritto di ritirare il suo nome dalla pellicola. Nel 1984 uscì quindi La storia infinita, una trasposizione della prima parte del romanzo — corrispondente al viaggio di Atreiu — che, con un budget di 25 milioni di dollari, divenne all'epoca il film più costoso prodotto all'infuori degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica. Nonostante il successo di pubblico e critica, Ende fu inorridito dal prodotto finale e lo definì un "gigantesco melodramma di kitsch, commercializzazione, pupazzi e plastica".

    Al primo film fecero seguito due produzioni statunitensi: La storia infinita 2 (1990), diretto da George Trumbull Miller e vagamente basato sulla seconda parte del romanzo, e La storia infinita 3 (1994), con regista Peter MacDonald, che presenta invece una storia originale e ha in comune con il libro solo alcuni personaggi. Nel 2003 è stato infine pubblicato in DVD ed esclusivamente in tedesco il film Die unendliche Geschichte 4 - Der Kampf um Phantasien.

    Nel 2009 circolò la notizia che Warner Bros., The Kennedy/Marshall Company e Appian Way erano in trattativa per realizzare un nuovo adattamento cinematografico de La storia infinita, il quale avrebbe esplorato «i dettagli più sfumati del romanzo di Ende che erano stati omessi dal film originale e dai due sequel». Nel 2011, tuttavia, la produttrice Kathleen Kennedy affermò che problemi nell'acquisizione dei diritti indicavano che il film "non è destinato a compiersi".

    Nel 1995 è stata realizzata una serie televisiva a cartoni animati in 26 episodi di produzione franco-tedesco-canadese intitolata La storia infinita. Tales from the Neverending Story, una serie televisiva di 13 puntate raccolte in una stagione e liberamente basata su La storia infinita, è stata prodotta dalla compagnia canadese Muse Entertainment e trasmessa in Nord America a partire da ottobre 2001.


    Radio e audiolibri

    Nel 1980 la Phonogram produsse un radiodramma di circa tre ore che si mantiene molto fedele al romanzo di Ende, salvo essere riassunto per problemi di spazio su musicassetta. L'adattamento venne diretto da Anke Beckert, le musiche furono composte da Frank Duval, mentre come narratore fu scelto Harald Leipnitz. L'opera è stata pubblicata da Karusell in tre cassette e in seguito in tre CD della durata di circa 55 minuti con i sottotitoli Die große Suche ("La grande ricerca"), Das Zeichen der Kindlichen Kaiserin ("Il simbolo dell'Infanta Imperatrice"), Die Reise zum Elfenbeinturm ("Il viaggio alla Torre d'Avorio"). Una nuova versione in sei parti è stata trasmessa dal 7 novembre al 12 dicembre 2014 dalla Westdeutscher Rundfunk Köln e in seguito pubblicata su CD da Hörbuch Hamburg.

    Nel 2007 l'etichetta Der Audio Verlag pubblicò Die unendliche Geschichte come audiolibro. L'opera, con una durata di 655 minuti e raccolta in nove CD, venne letta da Rufus Beck. Anche questo adattamento non è completo, anche se rispetto al radiodramma mancano solo poche scene e non intere sequenze. Una versione integrale del romanzo è stata pubblicata come audiolibro da Hörbuch Hamburg il 22 febbraio 2013, con Gert Heidenreich come narratore.


    Teatro


    Nel 1999 venne eseguito a Magdeburgo il balletto Die unendliche Geschichte von der Zerstörung und Rettung des Landes Phantasien con musica di Siegfried Matthus e direzione di Irene Schneider. Lo stesso compositore Siegfried Matthus si era assicurato da Ende i diritti per un adattamento operistico del romanzo, che debuttò il 10 aprile 2004 a Treviri e Weimar.

    La grotta-teatro di Baumannshöhle nel comune di Oberharz am Brocken ha ospitato a partire dal 26 novembre 2005 una rappresentazione teatrale de La storia infinita. Il primo spettacolo all'aperto avvenne invece il 9 luglio 2011 a Korbach.


    Legenden von Phantasien

    Data la grande popolarità de La storia infinita, la casa editrice Droemer Knaur commissionò a prominenti autori tedeschi una serie di romanzi spin-off ambientati nel Regno di Fantàsia. I libri vennero raccolti a partire dal 2003 nella collana Legenden von Phantasien; inizialmente prevista come una serie di dodici volumi, la collana venne chiusa nel 2004 dopo la pubblicazione del sesto albo. I libri della serie sono:

    * Der König der Narren ("La regina dei matti") di Tanja Kinkel, pubblicato il 1º settembre 2003
    * Die Seele der Nacht ("L'anima della notte") di Ulrike Schweikert, pubblicato il 1º settembre 2003
    * Die geheime Bibliothek des Thaddäus Tillmann Trutz ("La biblioteca segreta di Thaddäus Tillmann Trutz") di Ralf Isau, pubblicato il 1º settembre 2003
    * Die Verschwörung der Engel ("Il giuramento degli angeli") di Wolfram Fleischhauer, pubblicato il 18 marzo 2004
    * Die Stadt der vergessenen Träume ("La città dei sogni dimenticati") di Peter Freund, pubblicato il 18 marzo 2004
    * Die Herrin der Wörter ("La regina delle parole") di Peter Dempf, pubblicato il 23 settembre 2004


    Giochi e videogiochi


    Nel 1985 la software house inglese Ocean Software sviluppò The Neverending Story, un'avventura testuale per sistemi a 8 bit, basata in particolare sul film. Nel 1990 fu la volta di The Neverending Story II, un videogioco a piattaforme d'avventura pubblicato da Linel Trading per Commodore 64, Amiga e Atari ST, basato sul secondo film. Nel 1991 vide la luce una versione per MS-DOS. Auryn Quest è un videogioco per Windows sviluppato dall'azienda tedesca Attaction e pubblicato da dtp entertainment nel 2002. Nel platform il giocatore veste i panni di Atreiu in viaggio per Fantàsia alla ricerca dell'Auryn scomparso, mentre il Nulla minaccia nuovamente il regno fatato.

    Un gioco da tavolo intitolato Die unendliche Geschichte – Das phantastische Erlebnisspiel è stato sviluppato da Klaus Hollitzka e pubblicato nel 1987 da Amigo Spiele.


    Fumetti

    L'opera è stata parodiata dal fumetto Paperino in: "La storia (in)finita", scritta da Caterina Mognato, illustrata da Giuseppe Dalla Santa e pubblicata per la prima volta in due parti il 29 dicembre 1991 nel numero 1883 di Topolino. In essa il ruolo di Bastiano è ricoperto da Paperino, Atreiu da Topolino, Fuchur da Dumbo, l'Infanta Imperatrice da Paperina e l'Auryn dalla Numero Uno di Paperon de' Paperoni.


  7. .
    Recuperala, è molto bella!
  8. .
    beh secondo me tutte le persone hanno lati belli, che siano carattere, fisici o intellettuali, bisogna non fermarsi alle apparenze e pensare che si può valorizzare se stessi anche se non si è una bellezza da copertina. se uno si guarda attorno vede gente normale con pregi e difetti. quindi non bisogna buttarsi giù!
  9. .
    Beh però la Valle in Soraya è stata superlativa, non le somiglierà molto ma era molto regale. Soraya è stata la serie preferita di Anna Valle, lo disse in un'intervista.
    A me piacque moltissimo Un Amore e una Vendetta, una delle serie migliori di sempre nel panorama italiano
  10. .
    Reza Pahlavi nella scelta delle mogli ne trovava una più bella dell'altra!
  11. .
    Per interpretare Grace Kelly è davvero dura trovare un'attrice all'altezza, inutile negarlo. Deve essere bellissima ma pure brava . Attualmente in Italia non c'è nessuna famosa che la possa interpretare. In America anche non ne vediamo di potenziali Grace Kelly... magari cercando tra qualche esordiente forse la potremmo trovare.
  12. .
    Certosa di Padula

    28032013_900_Certosa_di_Padula_01

    La certosa di Padula, o di San Lorenzo, è una certosa situata a Padula, nel Vallo di Diano, in provincia di Salerno. Si tratta della prima certosa ad esser sorta in Campania, anticipando quella di San Martino a Napoli e di San Giacomo a Capri.

    Occupando una superficie di 51.500 m², contando su tre chiostri, un giardino, un cortile ed una chiesa, è uno dei più sontuosi complessi monumentali barocchi del sud Italia nonché la più grande certosa a livello nazionale e tra le maggiori d'Europa.

    Dal 1957 ospita il museo archeologico provinciale della Lucania occidentale e fu dichiarata nel 1998 patrimonio dell'umanità dall'UNESCO assieme ai vicini siti archeologici di Velia, Paestum, al Vallo di Diano e al parco nazionale del Cilento. Dal dicembre 2014 fa parte dei beni gestiti dal Polo museale della Campania. Nel 2015 ha fatto registrare 72.936 visitatori.


    Storia

    I Sanseverino (1306)

    I lavori alla certosa iniziarono per volere di Tommaso II Sanseverino, sotto la supervisione organizzativa del priore della Certosa di Trisulti a Frosinone, il 28 gennaio 1306 sul sito di un preesistente cenobio.

    Il Sanseverino, conte di Marsico e signore del Vallo di Diano, personalità molto vicina al casato angioino, come tutto il casato, successivamente donò all'ordine religioso il complesso monastico appena edificato, ordine per l'appunto di origine francese. Nacque così il secondo luogo certosino nel sud Italia, dopo la certosa di Serra San Bruno in Calabria, con lo scopo per la famiglia salernitana di ingraziarsi i piaceri dei reali di Napoli.

    La dedica a San Lorenzo della certosa si deve invece alla preesistente chiesa dedicata al santo che insisteva nell'area, appartenente all'ordine benedettino, poi abbattuta a seguito della costruzione della certosa.

    L'area in cui il Sanseverino decise di edificare il sito monumentale era sostanzialmente costituito da lotti di terra di sua proprietà, essendo egli un ricco e potente feudatario. Il punto risultò sin da subito strategico e cruciale, potendo infatti contare dei grandi campi fertili circostanti dove venivano coltivati i frutti della terra (i monaci producevano vino, olio di oliva, frutta ed ortaggi) per il sostentamento dei monaci stessi oltre che per la commercializzazione con l'esterno, nonché per consentire di avere il controllo delle vie che portavano alle regioni meridionali del Regno di Napoli. L'attività commerciale dei beni primari prodotti nella certosa fu per molti secoli fondamentale in quell'area, infatti, essa era di fatto l'unico centro di raccolta di manodopera.

    Nel Cinquecento il complesso divenne meta di pellegrinaggi illustri, come Carlo V che vi soggiornò con il suo esercito nel 1535 di ritorno dalla battaglia di Tunisi; secondo la tradizione fu in questa occasione che i monaci prepararono una frittata di mille uova. In questo stesso periodo, dopo il concilio di Trento, vi si aggiunse alla struttura trecentesca il chiostro della Foresteria e la facciata principale nel cortile interno.

    I grandi rifacimenti barocchi (1583 - 1779)

    Nei secoli successivi, a partire dal 1583 la certosa subì ingenti rimaneggiamenti, avviati sotto il priorato di Damiano Festini e che durarono fino alla seconda metà del Settecento determinandone l'attuale predisposizione architettonica, di impianto quasi esclusivamente barocco. Tra il XVI e XVII secolo l'attività produttiva-commerciale della certosa si implementò e divenne così importante che fu necessario istituire nei territori vicini, dalla bassa provincia di Salerno fino in Basilicata, grancie e feudi, come a Sala Consilina che in 1.500 ettari di spazio, nacque la grancia di San Lorenzo, o come a Pisticci, che fu istituita quella di Santa Maria.

    Caduti i Sanseverino nella metà del Seicento con la congiura dei baroni, i loro possedimenti andranno ai monaci certosini di Padula, divenendo così loro stessi anche padroni dei terreni su cui si sviluppava il paese soprastante. Disponendo così di proventi derivanti dalle tasse che i civili pagavano al priore, oltre che delle ricchezze che la certosa aveva accumulato nel corso dei secoli, tramite donazioni, profitti commerciali e quant'altro, si avviò per tutto il XVII e XVIII secolo il periodo di massimo splendore per il complesso di San Lorenzo.

    I rimaneggiamenti cinquecenteschi si ripresero così nel corso del Seicento e per quasi tutto il Settecento. Essendo stati questi decisivi e numerosi, fecero sì che un sito nato in stile gotico assurse a diventare ben presto uno dei simboli della cultura barocca nel regno di Napoli. Il florido periodo artistico ebbe così ripercussioni positive anche sotto il profilo commerciale oltre che spirituale-politico, tant'è che nel 1771 si registrò addirittura la presenza di ben 195 lavoratori, dove metà di essi circa erano persino salariati.

    Durante questi due secoli, il sito fu inoltre ancora una volta ampliato: risultano a quest'epoca infatti diversi corpi di fabbrica, come il chiostro grande, il refettorio e lo scalone ellittico del retro che, datato 1779, è di fatto l'ultima opera architettonica della certosa, prima della soppressione dell'ordine per mano dei francesi.

    La soppressione napoleonica (1807)


    Nel 1807, durante il decennio murattiano, l'ordine certosino fu soppresso ed i monaci della certosa, così come tutti quelli del regno, furono costretti a lasciare lo stabile, che invece fu destinato a diventare una caserma. Seguirono all'evento furti di svariate opere d'arte: testi storici in biblioteca, ori, statue, argenti e pitture, in particolar modo dentro la chiesa, la quale fu spogliata del tutto dalle tele seicentesche che possedeva. Nel 1813, anno in cui avvenne l'ultimo trasferimento di opere della certosa al museo Reale di Napoli, si registra lo spostamento da un luogo all'altro di 172 dipinti.

    Passato il periodo napoleonico, con il ripristino del regno borbonico i certosini rientrarono nel complesso. Spogliati di quasi ogni bene, il peso politico che avevano nell'area circostante e nelle gerarchie dei reali fu certamente minore. Per ridare lustro al complesso furono commissionate in questo periodo alcune pitture in sostituzione di quelle rubate e collocate nel refettorio, di fatto l'unico ambiente artisticamente ripristinato.

    Tuttavia, nonostante gli sforzi, i monaci non riuscirono mai più ad assumere il ruolo che avevano ricoperto nei secoli addietro.

    Dall'unità d'Italia a oggi


    Nel 1866, dopo l'unità d'Italia, l'ordine fu nuovamente soppresso e dunque i monaci dovettero nuovamente lasciare, per l'ultima volta, la certosa, poi dichiarata monumento nazionale venti anni dopo.

    Durante le due guerre mondiali della prima metà del Novecento, invece, essendo l'intero complesso un luogo abbandonato e inutilizzato, fu usato come campo di prigionia e di concentramento.

    Dal 1957 alcune sale ospitano il museo archeologico provinciale della Lucania occidentale, che raccoglie una collezione di reperti provenienti dagli scavi delle necropoli di Sala Consilina e di Padula, dalla preistoria all'età ellenistica. Nel 1981 la certosa invece fu affidata alla soprintendenza dei beni architettonici di Salerno e l'anno dopo vide avviare i primi veri lavori di restauro che avevano lo scopo di far divenire la certosa un sito di accoglienza turistica-monumentale.

    Per la sua bellezza, la Certosa è stata adoperata in numerose occasioni come set cinematografico. Tra i film qui realizzati, sono da citare C'era una volta (1967) di Francesco Rosi con Sophia Loren ed Omar Sharif, ambientato nell'epoca della dominazione spagnola e in cui viene citata la famosa leggenda della frittata di mille uova, e Cavalli si nasce (1989) di Sergio Staino con David Riondino e Paolo Hendel ambientato in epoca borbonica.


    Descrizione

    Pianta

    La struttura della certosa, come per tutte le certose d'Italia, richiama l'immagine della graticola sulla quale san Lorenzo fu bruciato vivo.[6] Secondo la regola certosina che predica il lavoro e la contemplazione, nella certosa esistono posti diversi per la loro attuazione: il tranquillo chiostro, la biblioteca con il pavimento ricoperto da mattonelle in ceramica di Vietri sul Mare, la Cappella decorata con preziosi marmi, la grande cucina, le grandi cantine con le enormi botti, le lavanderie ed i campi limitrofi dove venivano coltivati i frutti della terra per il sostentamento dei monaci oltre che per la commercializzazione con l'esterno.

    Gli ambienti della certosa sono:

    1024px-PiantaCertosaPadulaDescrittiva.svg

    1.Cortile

    2.Stalle, granai, fabbri, pescherie, lavanderie, spezierie.

    3.Foresteria antica

    4.Chiostro della Foresteria

    5.Chiesa
    a) Sala del Capitolo dei Conversi
    b) Cappelle laterali
    c) Sacrestia

    6.Sala delle campane

    7.Sala del Capitolo

    8.Sala del Tesoro

    9.Chiostro del Cimitero antico

    10.Cappella del fondatore

    11.Refettorio
    a) Chiostro del Refettorio

    12.Cucina

    13.Chiostro dei procuratori

    14.Scala elicoidale

    15.Quarto del Priore
    a) Museo archeologico provinciale della Lucania occidentale
    b) Cappella di San Giacomo
    c) Loggia
    d) Chiostro del Priore

    16.Chiostro grande

    17.Cimitero dei Priori

    18.Celle dei certosini

    19.Scalone ellittico

    20.Giardino all'italiana

    Lo stile architettonico del complesso è quasi prevalentemente barocco, sono infatti poche le tracce trecentesche superstiti. La certosa conta circa 350 stanze e, compresi i giardini, occupa una superficie di 51.500 m² di cui 15.000 impegnati solo dal chiostro grande, il più grande del mondo.


    Atrio e facciata principale

    1280px-Padula_certosa_cour

    L'ingresso alla certosa avviene dal lato orientale dove, varcata la porta d'ingresso, ci si immette in un ampio cortile a forma rettangolare chiuso a braccia da due corpi di fabbrica. Il cortile era un tempo il punto che più di ogni altro aveva contatto con l'esterno; su questo affacciavano infatti i siti di produzione del complesso: le speziere, le scuderie, le stalle, le lavanderie, i granai, la farmacia e le officine. L'atrio è caratterizzato inoltre lungo la parete destra da una fontana di ignoto autore del Seicento, mentre in prossimità della scala di accesso, invece, ai due lati della facciata ci sono gli accessi ai giardini che circumnavigano il complesso. Fa infine parte delle aggiunte del XVIII secolo la torre degli Armigeri che insiste al vertice alto del cortile, lungo la cinta muraria esterna della certosa.

    La facciata principale che dà accesso all'intero monastero risale al Cinquecento, seppur ci furono rimaneggiamenti in stile barocco nel corso del Settecento. Risalgono infatti al 1718 le quattro sculture entro altrettante nicchie eseguite da Domenico Antonio Vaccaro e raffiguranti, da sinistra a destra: San Bruno, San Paolo, San Pietro e San Lorenzo. I busti presenti al secondo piano ritraggono invece i quattro evangelisti, la Madonna e Sant'Anna, mentre ancora più in alto, è la scultura della Madonna al centro, con ai lati due putti e poi i busti della Religione e Perseveranza. Probabilmente i lavori settecenteschi alla facciata terminarono nel 1723, data riportata sotto la scritta Felix coefi porta posta ai piedi della scultura della Vergine in alto a tutto alla facciata.

    Chiostro della Foresteria

    1024px-ChiostroForesteriaCPadula

    Entrati nell'edificio, si giunge ad una sala interamente affrescata da Francesco De Martino, pittore attivo nella certosa dopo il primo decennio del Settecento, che anticipa l'accesso al chiostro della Forestiera.

    Il chiostro risale ai rifacimenti cinquecenteschi: sono databili al 1561 infatti la fontana marmorea centrale, il portico e la loggia.[6] L'architettura è molto vicina ai modi dell'architetto toscano Giovanni Antonio Dosio, questi molto attivo a Napoli e già operante nella certosa di San Martino. Il piano superiore, i cui ambienti servivano per ospitare le illustri personalità che soggiornavano nella certosa, è interamente affrescato da ignoto napoletano paesaggista con scene di Paesaggi. Tra i cicli di affreschi, una porta conduce alla cappella di Sant'Anna, caratterizzata da decorazioni in stucco settecentesco di gusto barocco siciliano.

    Il piano inferiore del chiostro è caratterizzato da sculture in gesso ottocentesche lungo il porticato raffiguranti: Madonna in gloria, San Giuseppe, San Bruno, San Lorenzo e San Michele Arcangelo. Risale ai primi del Cinquecento invece la scultura in pietra della Madonna col Bambino.

    Si affaccia sul chiostro la torre dell'orologio, mentre altre porte al piano inferiore conducono ad altri ambienti della certosa, come la cappella dei Morti, le ex celle dei monaci e la chiesa.


    Chiesa

    320px-Padula_certosa_eglise

    La porta monumentale d'ingresso è una delle rare testimonianze trecentesche della certosa; essa infatti risale al 1374,[6] secondo alcuni di Antonio Baboccio da Piperno, e presenta bassorilievi lignei sulla Vita di San Lorenzo e sull'Annunciazione. La cornice in pietra che la decora invece risale al Cinquecento.

    L'interno è a navata unica, con archi ogivali e volte a crociera affrescate da Michele Ragolia nel 1686 con Storie del Vecchio Testamento. Le decorazioni interne sono tipiche del barocco napoletano, con stucchi dorati, pavimenti maiolicati e altari marmorei. I dipinti che ornavano la chiesa, tra i cui autori figurano Luca Giordano, Giacomo Farelli, Francesco Solimena e Paolo De Matteis, furono portati via durante il "decennio francese", dunque a questo evento si deve il bianco che caratterizza gran parte delle mura del luogo.

    All'ingresso è il coro dei conversi, con intarsi lignei di Giovanni Gallo del 1507 ritraenti nello schienale, nel sedile e nell'inginocchiatoio, rispettivamente: Santi, Paesaggi e Architetture. Successivamente un muro taglia trasversale il coro separandolo dall'altro dei padri e dalla zona absidale.

    Il coro dei Padri

    1024px-CoroPadriChiesaCPadula

    Sulla destra si aprono in successione quattro cappelle settecentesche che permettono di aggirare la parete conducendo così alla parte anteriore. Ancora prima di queste è però la sala del Capitolo dei conversi, dove è esposto il cinquecentesco trono del Priore.

    Le cappelle sono, in successione verso il presbiterio:
    * la cappella di San Giovanni Battista,
    * la cappella dell'Ecce Homo,
    * la cappella del Crocifisso,
    * la cappella delle Sante Reliquie.

    Di fronte all'altare maggiore, in direzione verso la controfacciata, c'è il coro dei padri, caratterizzato anch'esso da intarsi lignei cinquecenteschi con 36 scene del Nuovo Testamento sullo schienale, altrettante 36 scene di Santi e eremiti sul sedile e 28 scene di Martiri databili al 1503 sull'inginocchiatoio.

    L'altare maggiore, a cui hanno lavorato Bartolomeo Ghetti, Antonio Fontana e Giovan Domenico Vinaccia, è di stucco lucido, incrostato di madreperle. Alle pareti dell'abside ci sono dipinti della metà Ottocento di Salvatore Brancaccio che hanno sostituito quelli trafugati: a destra San Bruno, a sinistra Martirio di San Lorenzo, al centro Madonna col Bambino tra san Bruno e san Lorenzo.

    Alle spalle dell'altare maggiore c'è l'accesso alla sacrestia. La sala è rettangolare, con volte a botte; lungo le pareti c'è mobilia del 1686 mentre sull'altare maggiore un ciborio attribuito a Giacomo Del Duca, che lo avrebbe eseguito su committenza dei certosini di Padula tra il 1572 e 1574. Inviato a Napoli all'inizio dell'Ottocento, è ritornato nel suo luogo di origine solo nel 1988.


    Sala delle Campane, del Capitolo e del Tesoro

    Da una porta alla sinistra dell'abside, si giunge alla sala delle campane, nella quale vi sono tre fori nella volta, che un tempo vedevano il passaggio al loro interno delle funi delle campane. Dalla sala tre porte (esclusa quella che conduce alla chiesa) danno accesso ad altrettanti ambienti: alla sala del Capitolo, alla sala del tesoro ed al chiostro del Cimitero antico.

    La sala del Capitolo, utilizzata dai monaci certosini per le confessioni, presenta decorazioni in stucco settecentesche, nella volta il seicentesco ciclo di affreschi dei Miracoli di Cristo, dietro l'altare la tela settecentesca della Madonna con i santi Lorenzo e Bruno, mentre lungo le pareti è decorata da statue in pietra settecentesche attribuite Domenico Lenmico, allievo di Lorenzo Vaccaro: San Giovanni Battista, Maddalena e San Giuseppe.

    La sala del Tesoro presenta oltre alle decorazioni in stucco tipiche barocche, anch'essa un affresco sulla volta raffigurante la Caduta degli angeli ribelli e mobilia seicentesca che un tempo custodiva il tesoro della certosa, oggi disperso.


    Chiostro del Cimitero antico e refettorio


    800px-Padula_certosa_patio_palmiers

    Il chiostro del Cimitero risale alla prima metà del Settecento, probabilmente di Domenico Vaccaro, quando i lavori di ammodernamento trasformarono il vecchio cimitero dei conversi del 1552 in chiostro.

    Le pareti sotto il porticato sono ricche di targhe, lapidi, sculture, rilievi, iscrizioni ed edicole funerarie. Una porta conduce alla cappella del Fondatore, così chiamata in quanto custodisce il sepolcro di Tommaso Sanseverino, fondatore del monastero certosino. L'opera in questione appartiene alla cerchia di Diego De Siloe, scultore catalano del Cinquecento. Il Sanseverino è raffigurato nel monumento come un guerriero dormiente, sopra il sarcofago su cui è scolpito in alto lo stemma della famiglia e con attorno una cornice marmorea contenente una scultura della Madonna col Bambino. La postura con la quale è ritratto il nobile, "semigiacente" col capo sorretto da un braccio e gambe incrociate, è tipica del Rinascimento napoletano, divenuta dominante in città nel corso del primo Seicento grazie soprattutto a Michelangelo Naccherino e Giovan Domenico d'Auria.

    Dal chiostro si ha accesso inoltre anche al refettorio.

    800px-Padula_certosa_refectoire

    Questo risale alle aggiunte settecentesche della certosa, probabilmente edificato tra il 1438 e 1742, di forma rettangolare e caratterizzato da mobilia lignea dell'epoca, da un affresco ritraente le Nozze di Cana, databile al 1749 ed eseguito da Francesco D'Elia, da un pulpito sorretto da un'aquila con due bassorilievi raffiguranti il Martirio di san Lorenzo e la Morte di san Bruno; infine, la sala ha un pavimento in marmi policromi, mentre alle pareti laterali, spazi bianchi comprovano l'assenza di alcuni dipinti trafugati durante la soppressione del periodo francese. Adiacente alla sala è il chiostro del Refettorio, piccolo ma prezioso in quanto rappresenta un ulteriore lascito dell'originario impianto trecentesco del complesso. Lungo il porticato la pavimentazione in terracotta è caratterizzata da una "fetta" in maioliche raffiguranti la scena mitologica di Esculapio che nutre il serpente, molto probabilmente proveniente da altro luogo del monastero andato distrutto.

    Sempre dal chiostro del Cimitero, infine, si giunge alla cucina del monastero dalla quale poi si sviluppano altri ambienti.

    Cucina

    800px-Padula_certosa_cuisine_2

    La cucina fu riadattata a tale destinazione solo sul finire della prima metà del Settecento, in contemporanea con i lavori di adeguamento del chiostro del Cimitero e degli ambienti a esso circostanti.

    L'elemento centrale che salta subito all'occhio è la grande cappa posta al centro, su una grande fornace centrale decorata alla base da mattonelle maiolicate.

    Sulla parete di fondo della sala è invece il grande affresco della Deposizione di Cristo datato 1650 e firmato "Anellus Maurus", probabilmente un monaco. Tale testimonianza, così come la forma architettonica rettangolare della sala con volte a botte, esclude con quasi assoluta certezza che in quell'ambiente, almeno prima del 1742, anno in cui finirono i lavori di restauro di quell'ala del monastero, ci fosse una cucina. La sala era invece destinata molto più probabilmente a Capitolo o Refettorio della certosa.

    Alle spalle della cucina, delle scale conducono al seminterrato, dove ci sono le cantine in cui veniva conservato il vino, mentre all'esterno è il piccolo chiostro della cucina, dove una vasca in pietra al centro dello spazio era usata per far fermentare il vino prodotto dai monaci.

    Chiostro dei Procuratori e biblioteca


    Il chiostro risale anch'esso al Settecento, richiamando lo stile di un altro architetto napoletano molto in voga in quegli anni: Ferdinando Sanfelice.

    Al centro del chiostro una fontana in pietra con un delfino e altri animali domina lo spazio, mentre ai piani superiori ci sono le camere in cui vivevano i procuratori della certosa e l'antica biblioteca del monastero.

    Alla biblioteca si accede percorrendo il corridoio che porta al chiostro grande e, proprio in prossimità dello stesso, accedendo ad una porta sulla sinistra immediatamente dopo l'ingresso all'appartamento del priore. A quel punto, tramite una piccola scala elicoidale in pietra della metà Quattrocento, compiendo circa un giro e mezzo, si arriva dinanzi al portale d'entrata su cui insiste nel timpano la scritta Da sapienti occasionem et addetur ei sapientía (offri al saggio l'occasione e la sua sapienza crescerà). La biblioteca conservava fino ai furti avvenuti immediatamente dopo il restauro del regno borbonico del 1811 circa 20.000 volumi. Di questi oggi solo un decimo è conservato ancora nella certosa, il resto è disperso o conservato nella biblioteca Nazionale di Napoli. La volta della sala è decorata da una grande tela di Leonardo Olivieri, datata 1763 e raffigurante l'Aurora col suo carro, il Giudizio Universale e l'Allegoria della scienza. Altre decorazioni a fresco lungo le pareti sono di Filippo Pascale del 1769, mentre il pavimento maiolicato settecentesco è opera di Donato e Giuseppe Massa, artigiani già attivi al chiostro maiolicato di Santa Chiara a Napoli.

    Dal chiostro infine si raggiunge il corridoio che porta alle celle dei padri certosini ed al Quarto del priore.

    Quarto del priore

    800px-Padula_certosa_jardin_du_prieur

    L'appartamento del priore si sviluppa nelle circa dieci sale che si sviluppano verso sud del complesso, la cui porta d'ingresso precede di poco quella della scala elicoidale che conduce alla biblioteca. Nelle sale che lo compongono sono conservate alcune testimonianze settecentesche della certosa, come la cappella San Michele Arcangelo, decorata da stucchi, mobilia ed affreschi barocchi del Settecento. Ad Alessio D'Elia sono attribuiti i cicli sulla volta e nelle pareti ritraenti l'Immacolata e Storie di San Michele.

    Le sale ospitano altresì il museo archeologico provinciale della Lucania occidentale, nato nel 1957 con lo scopo di accogliere i reperti archeologici rinvenuti in quella zona geografica.

    L'appartamento consta anche di un chiostro del XVIII secolo che si sviluppa alla fine delle camere, alle spalle delle celle dei certosini, sul lato meridionale del chiostro grande, e che collega direttamente la certosa con i giardini a sud del complesso monastico. Il chiostro, di forma rettangolare allungata, è caratterizzato da una loggia con soffitto cassettato e con affreschi alle pareti ritraenti Paesaggi, attribuiti a Domenico Gargiulo, mentre in fondo in una nicchia è la scultura in pietra della Madonna col Bambino che sovrasta una fontana, a destra invece, di fronte al cancello che dà ai giardini, un'altra fontana settecentesca decora la parete.

    Chiostro grande

    1024px-ChiostroGrandeCertosaPadula

    Il chiostro grande, opera iniziata alla fine del Cinquecento e finita nella prima metà del Seicento, la parte inferiore, e in quella del Settecento, nella parte superiore. Si tratta di uno degli elementi di maggior spicco sotto il profilo architettonico e artistico della certosa, fungente da punto di congiunzione tra la zona di clausura del monastero e quella più "rivolta all'esterno".

    Il chiostro (104 × 150 m) conta due ordini di portici su un totale di 84 pilastri, con volta ad arco a tutto sesto, sopra le quali sono i bassorilievi raffiguranti i Padri fondatori degli ordini religiosi, Santi ed Angeli. Al piano superiore è la passeggiata settimanale che facevano i padri quando uscivano dalla clausura, mentre al piano inferiore, ci sono gli ambienti in cui vivevano i monaci in clausura. Le celle dei monaci certosini di clausura sono in totale 26, ognuna delle quali è costituita da tre o quattro stanze più una loggia che si apre su un piccolo giardino. Tra esse, sono lungo le pareti del porticato delle finestrine grazie alle quali veniva portato il cibo ai monaci di clausura. Inoltre sempre lungo le mura del porticato del chiostro sono collocate diverse decorazioni in stucco e una fontana dello scultore locale Andrea Carrara, in prossimità della porta che conduce alla biblioteca. Quattro vie tagliano a croce il giardino, al cui centro è collocata una fontana del 1640. Sul versante orientale invece è il cimitero dei monaci, recintato da una balaustra sulla quale sono scolpiti teschi ed altri simboli di morte; il cimitero è datato 1729 e fu eseguito su un progetto anteriore di Cosimo Fanzago, sostituendo probabilmente nell'uso quello del chiostro del Cimitero della certosa.

    1024px-Padula_certosa_cloitre_2

    Di matrice michelangiolesca, esso infatti richiama quello della basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, il chiostro è vasto circa 15.000 m² (5.000 in più di quello romano) tanto da renderlo il più grande del mondo. Seppur derivante dalle aggiunte cinquecentesche del complesso, esso mostra prevalentemente caratteristiche derivanti dai lavori di restauro avvitati nel corso della prima metà del XVII secolo. I lavori sono attribuiti a Cosimo Fanzago ed alla sua bottega, in particolar modo per quanto riguarda il pavimento in pietra, il porticato al pian terreno e il cimitero dei Padri, realizzato quest'ultimo nel corso del Settecento (quindi a morte avvenuta del Fanzago, di cui rimane quindi il progetto) e che riconduce a quello della certosa di San Martino di Napoli che, seppur postuma alla certosa di San Lorenzo, è stata evidentemente d'ispirazione per l'assetto decorativo cimiteriale del chiostro grande visto che la datazione dello stesso nella certosa napoletana è anteriore a quella di Padula.

    Sul lato opposto dell'ingresso principale al chiostro, infine, è la monumentale scala ellittica.

    Scalone ellittico

    Scala_della_Certosa_di_Padula

    Sul lato estremo occidentale del complesso, risalente all'ultimo quarto del Settecento, è il monumentale scalone ellittico. Chiuso all'esterno da una torre ottagonale, lo scalone conduce al primo piano del chiostro grande, utilizzato dai monaci di clausura per la loro "passeggiata settimanale".

    Nei documenti del 1763 di Thomas Salmon l'opera non viene citata, mentre ciò avviene per la prima volta nel 1779, dunque è entro questo arco temporale che si fa collocare l'edificazione dello scalone. L'opera è frutto di Gaetano Barba, architetto allievo di Luigi Vanvitelli che operò dagli anni settanta del Settecento in certosa per compiere la galleria al primo piano del chiostro grande. Probabilmente il progetto è invece di Ferdinando Sanfelice, maestro napoletano ideatore di questo tipo di architettura a doppia rampa.

    Il materiale usato per l'opera, secondo fonti dell'epoca costata ben 64.000 ducati, è la pietra di Padula. Al centro dello scalone è lo stemma della certosa di San Lorenzo: mitria vescovile (il priore era comunque un vescovo), la corona di marchese, il bastone pastorale vescovile, il simbolo di San Lorenzo (la graticola) ed infine la fiaccola, che rivolta verso l'alto avrebbe significato anni di buon augurio, rivolta verso il basso, anni di miseria. Salendo lo scalone, la torre ottagonale che lo chiude dall'esterno è caratterizzato da sette finestroni aperti verso il giardino all'italiana, di rifacimento settecentesco che utilizzavano i monaci di clausura per le loro uscite durante le festività.

    Da qui, infine, si sviluppa tutta l'area verde che circonda le mura esterne del complesso.

    Parco e giardini

    1024px-GiardinoitalianaCertosaPadula

    I giardini della certosa si sviluppano tutti intorno al complesso, rientranti comunque nei confini delimitati dalle mura esterne.

    Alle spalle dello scalone monumentale, è il desertum, giardino all'italiana settecentesco usato dai monaci di clausura e dal priore durante le loro uscite esterne, per i monaci consentite solo durante le festività. Probabilmente è il sentiero più antico del parco, fatto durante l'espansionismo settecentesco, anche se originariamente era caratterizzato da più viali e da frutteti e vigneti.

    Quando i monaci di clausura non potevano usufruire dello spazio, allora questo così come quelli circostanti erano usati dai monaci conversi (dunque non di clausura) che li utilizzavano per le loro attività commerciali con l'esterno.

    Nei giardini sono collocate alcune edicole sacre, fontane ed una cappella dedicata a Maddalena.
  13. .
    Fawzia d'Egitto

    Sua Altezza Reale Fawzia bint Fuʾād (in arabo: فوزية بنت الملك فؤاد‎; in persiano: فوزیه فؤاد‎‎; Alessandria d'Egitto, 5 novembre 1921 – Alessandria d'Egitto, 2 luglio 2013) è stata la prima moglie di Mohammad Reza Pahlavi e la sorella di Faruq I d'Egitto.

    Era il membro più anziano della ex dinastia regnante dell'Egitto, terminata con Fuʾād II, suo nipote, che ne fu l'ultimo sovrano. Dopo aver perso i suoi titoli reali, ed essere fuggita dall'Egitto in seguito alla Rivoluzione del 1952, Fawzia si stabilì in Svizzera.

    Titoli nobiliari

    * Sua Altezza Principessa Sultana Fawzia d'Egitto
    * Sua Altezza Reale la Principessa Fawzia d'Egitto
    * Sua Altezza Imperiale la Principessa Ereditaria alla corona dell'Iran
    * Sua Maestà Imperiale, la Regina Fawzia d'Iran
    * Sua Altezza Reale la Principessa Fawzia d'Egitto
    * Signora Ismāʿīl Shirīn

    Primi anni


    Nacque al palazzo reale Raʾs al-Tīn di Alessandria d'Egitto, figlia dell'allora sultano e futuro re dell'Egitto Fuʾād I e della sua seconda moglie la sultana Nazli Sabri. Discendente della nobile dinastia di Mehmet Alì, Fawzia crebbe insieme alle sue sorelle le Principesse Faiza, Faika e Fathiya e al fratello Fārūq, erede al trono dell'Egitto e futuro sovrano.

    Il matrimonio con il principe ereditario dell'Iran


    La Principessa dell'Egitto sposò il giovane Principe Ereditario d'Iran, Mohammad Reza Pahlavi, al Cairo il 16 marzo del 1939; dopo la luna di miele, la cerimonia nuziale venne ripetuta a Teheran.

    Due anni più tardi, il principe Mohamed Reza grazie all'esilio del padre (voluto dal governo britannico) salì al trono del pavone (chiamato così per la curiosa forma a coda di pavone del trono imperiale dell'Iran, in oro massiccio e portato a Teheran dagli imperatori mongoli) ed essere quindi incoronato imperatore dell'Iran. Fawzia, in occasione della sua incoronazione a imperatrice, apparve sulla copertina di Life del 21 settembre 1942, il noto giornale americano, incantando con il suo fascino migliaia di persone in tutto il mondo. Fotografata in quell'occasione da Cecil Beaton, il fotografo la descrisse come una "Venere Orientale, dall'ovale del volto perfetto, la carnagione pallida e gli occhi blu".

    Il matrimonio con Pahlavi non fu un successo. Dopo la nascita dalla coppia di una figlia femmina, la principessa Shahnaz Pahlavi, la regina Fawzia (il titolo di imperatrice non era ancora in uso allora in Iran) ottenne la separazione legale dal marito da parte del governo egiziano nel 1945, e in seguito tornò al Cairo. Questa separazione non venne riconosciuta dal governo iraniano, ma infine, il divorzio venne ottenuto e accettato anche in Iran il 17 novembre del 1948, e con la sua rinuncia alla corona iraniana, Fawzia riprese il suo titolo di principessa reale d'Egitto. Una delle clausole del divorzio fu quella di far rimanere la figlia in Iran, per essere cresciuta con il padre. Curiosamente, Fawzia divorziò la stessa settimana in cui suo fratello, Re Faruq d'Egitto divorziò dalla sua prima moglie, la Regina Farīda.

    Nell'annuncio pubblico del divorzio si affermò che "il clima persiano aveva messo in pericolo la salute dell'imperatrice Fawzia, e che quindi fu concordato dal Re dell'Egitto che la sorella divorziasse". In un'altra dichiarazione ufficiale lo scià di Persia (Pahlavi) dichiarò che lo scioglimento del matrimonio "non avrebbe influito negativamente sui buoni rapporti di amicizia tra l'Egitto e l'Iran.

    Il secondo matrimonio e la fuga dall'Egitto

    Il 28 marzo del 1949, la principessa Fawzia sposò il Colonnello Ismāʿīl Ḥusayn Shīrīn Bey (1919-1994), un lontano cugino e al tempo ministro della guerra e della marina. Dalla coppia nacquero due figli: Nadia (1950) e Husayn (1955). In seguito al colpo di Stato attuato dal colonnello Nasser nel 1952, e al seguente crollo della monarchia, la principessa Fawzia fu esiliata insieme al fratello e a tutta la famiglia reale dall'Egitto. Essa trovò rifugio in Svizzera, dove risiedette fin quasi alla morte[1], sopravvenuta il 2 luglio 2013 ad Alessandria d'Egitto[2]. Il rito funebre ha avuto luogo il giorno seguente, dopo la preghiera di mezzogiorno; la principessa è stata sepolta al Cairo.

    Curiosità


    * In un articolo giornalistico del 2005 la principessa Fawzia venne erroneamente data per morta, essendo stata scambiata con una delle sue nipoti, sua omonima, Fawzia Faruq (1940-2005), una delle tre figlie di Re Faruq.

    * La Principessa è stata considerata la donna più bella d'Egitto. Spesso è stata notata una forte somiglianza tra la Principessa e la celeberrima attrice Elizabeth Taylor (che però era di alcuni anni più giovane della Regina)


    Onorificenze

    * Onorificenze egiziane: Membro di Classe Suprema dell'Ordine delle Virtù - nastrino per uniforme ordinaria Membro di Classe Suprema dell'Ordine delle Virtù — 16 marzo 1939

    * Onorificenze iraniane: Gran Cordone dell'Ordine dei Pahlavi - nastrino per uniforme ordinaria Gran Cordone dell'Ordine dei Pahlavi — 27 ottobre 1940



    Schema in breve della Sovrana:

    Regina consorte dell'Iran

    In carica
    16 settembre 1941 - 17 novembre 1948

    Predecessore
    Tadj ol-Molouk dell'Iran

    Successore
    Soraya Esfandiary Bakhtiari

    Nome completo
    Fawzia Fuad

    Nascita
    Palazzo Ras el-Tin, Alessandria d'Egitto, 5 novembre 1921

    Morte
    Alessandria d'Egitto, 2 luglio 2013 (91 anni)

    Luogo di sepoltura
    Il Cairo

    Casa reale
    Mehmet Ali

    Padre
    Fu'ad I d'Egitto

    Madre
    Nazli Sabri

    Consorte
    Mohammad Reza Pahlavi (dal 1939 al 1948)
    Ismail Hussain Shirin Bey (dal 1949 al 1994)

    Figli
    Shahnaz Pahlavi
    Nadia Shirin
    Hussein Shirin



    Immagini:

    jpg

    jpg

    jpg


    Medaglione commemorativo del matrimonio:

    800px-Commemoration_Medallion_of_Marriage_of_Mohammad_Reza_Shah_Pahlavi_and_Princess_Fawzia_of_Egypt_-_March_1939


    Foto del matrimonio a Il Cairo tra Fawzia e Reza Pahlavi:

    1024px-ModernEgypt%2C_Wedding_of_Mohammad_Reza_Pahlavi_%26_Fawzia%2C_DHP13655-20-5_01
  14. .
    è stata una miniserie magnifica, una delle più belle che abbia visto. Soraya interpretata da Anna Valle mi è entrata nel cuore come la Sissi con Romy Schneider.
    Avrei sempre voluto una miniserie su Grace Kelly fatta bene come quella di Soraya e con un'attrice bellissima come la Valle nel ruolo.
  15. .
    Sì certo, sono due donne che hanno avuto gran classe. Non avevo capito il collegamento, scusa!
99 replies since 11/8/2005
.